Intervista ad Albert Frankson,
di Madame Vi
Ho appena terminato la lettura dell’impaginato di Bondage Dreams, e ti devo confessare che mi ha davvero turbato. Dopo Bondage Meditation non mi attendevo di trovarmi dentro atmosfere davvero insolite se le confrontiamo con ciò che il mercato letterario propone sull’argomento. Come si conciliano le atmosfere crepuscolari del volume fotografico sulla meditazione con il perturbante di Bondage Dreams?
Il bondage è una pratica complessa, ha molte facce, e nasconde anche aspetti perturbanti. Che dietro molte pratiche si nascondano relazioni di potere è un fatto facilmente dimostrabile. Ho esplorato con le chiavi della letteratura argomenti scomodi o addirittura scabrosi, ma non ho mai giudicato e non ho mai parteggiato. In tanti anni di pratica, mi sembra che la morale sociale dominante tolleri facilmente la violenza cruda ed efferata di certo BDSM e le pratiche della tortura presente in tanti video dedicati, ma si scandalizzi quando si affronti il tema dell’incesto. Qui non si tratta, come è ovvio, di giustificare queste pratiche, e neppure di renderle, se così si potesse dire, meno inaccettabili. Si tratta solo di fare letteratura, cioè di affrontare i nodi dell’esistenza (e non della realtà, che appartiene ad altre discipline dichiarative, scienze sociali in primis). La letteratura non deve fare sconti, e deve graffiare con grazia narrativa, senza remore opportunistiche. Lolita di Nabokov è arte letteraria ma non ho mai avuto l’impressione che sia un romanzo apologetico e giustificatorio della pedofilia. Rivela istinti profondi, che hanno fatto scandalo – ma lo scandalo è aver narrato fatti che turbano le coscienze, o che queste cose accadano da sempre senza che nessuno ne parli? Meglio esplorare, e provare a comprendere, la complessità delle pulsioni e il perturbante che si cela in ogni relazione (persino, oserei dire, nelle storie a lieto fine).
“La corda libera”: un ossimoro ai limiti del surreale…
… solo se abbiamo una visione superficiale e stereotipata del bondage. Tutte le donne che ho conosciuto nella pratica del bondage cercano di fare a meno della legge di gravità. Il mistero della corda inerte che tiene compatto l’insieme permette loro di accedere a emozioni, sensazioni, pulsioni che portano alla liberazione dalla costrizione di un corpo che, se non è legato, deve sostenersi da sé con sforzo e dispendio di energia. Del resto, chi intende meditare in tutte le possibili accezioni, deve liberarsi dal fardello del controllo di sé. Con il bondage meditation si può andare in trance, in dimensioni meditative profonde, persino in stati alterati di coscienza. Ho assistito a vere e proprie manifestazioni di orgasmo mentale, senza con ciò dover per forza ‘vendere’ la pratica come porta privilegiata di accesso a chissà quali universi paralleli. Statisticamente parlando, è assai probabile che chi pratichi il bondage meditation acceda a nuove dimensioni altrimenti difficili da sperimentare…
… che al rigger (o al Master) sono precluse.
Esattamente. Si tratta di uno dei paradossi di Bondage Dreams: il vero potere è detenuto dalla slave. È lei – e solo lei – a utilizzare il rigger come strumento per accedere a dimensioni dell’esistenza che nessun altro, all’infuori della slave, può sperimentare ma solo immaginare: la slave ha le chiavi del potere. È ciò che emerge dalla Lettera al Master che, come ricorderai, ha suscitato molto scalpore e inquietudine.
Sì, è stata davvero una lettura inquietante, graffiante, controcorrente. L’ho trovata talmente chirurgica da togliere il fiato.
È un dramma vero, reale, accaduto secondo i canoni della cronaca. Ma è anche materia onirica, vissuta in altre dimensioni spazio-temporali, ed è a tutti gli effetti mitobiografia. Ogni evento si manifesta su più livelli di coscienza, dove ‘realtà’ e ‘finzione’ sono magicamente compresenti. Ovviamente ho dovuto riscrivere alcune parti della Lettera secondo i canoni della narrazione letteraria, la sola che posa rendere conto di ambedue le dimensioni. Slave N. si dissolve dopo la fine del percorso di slavery, e con dei drammatici flashback finalmente rivela al Master chi detiene davvero il potere. Anche scomparire senza lasciare traccia è atto supremo di potere perché affronta direttamente il nodo della morte. È deceduta? O si è limitata a scomparire? Il dubbio permane, ma aleggia sinistramente il simbolo apocalittico dell’ultimo quarto d’ora, che si utilizza per dire ogni verità, quando ormai è inutile fingere: game over. Ora è N. a rievocare il Master a suo piacimento, e a spiegargli cosa sia davvero l’abbandono incondizionato e quali siano le sue implicazioni. Lo ammetto, il finale fa male, brucia, sconcerta. È sconfortante, tocca corde profonde, incide come un coltello che pretende di cauterizzare una ferita insanabile. Quando ho ricevuto questa missiva ti confesso che sono sprofondato in un abisso indicibile. Nessuno mai mi aveva spalancato le porte di una voragine così incommensurabile.
Leggendo tra le righe si ha come l’impressione che “Slave N.” sia morta (come nell’inquietante ending del romanzo Histoire d’O), e che il finale, con la lettera chissà come recapitata senza mittente, e la risposta affidata al vento e al mare, rappresenti un atto psicomagico.
“N.” sta per “Nessuno”, vale a dire indica colei che ha rinunciato al proprio nome di battesimo per entrare nella slavery, ne assume un altro di alta valenza simbolica, ma poi perde il diritto di utilizzarlo una volta che la slavery si concluda. Chi non ha nome perde l’identità. E sì, ammetto, è un racconto di riti e sortilegi, e direi anche di esorcismi. Nelle mie public lectures (una delle quali nel tuo famoso Salotto di Madame Vi) ho misurato il disagio del pubblico, perché è stato evocato un perturbante archetipico. Oltretutto, è difficile identificarsi con l’assoluto incondizionato, e accettare la tragica lucidità di Slave N. Ancora oggi per molti è fastidioso ammettere che il vero potere (compreso quello di suicidarsi) siano nelle mani di chi al contrario dovrebbe solo obbedire. Perciò, mi permetto di farti notare che il riferimento a Histoire d’O (il libro, non l’orrendo film con l’happy end femminista e politically correct) ha poco a che fare con questa situazione. In quel classico, “O” chiede il permesso a Sir Stephen di suicidarsi, e il Master glie lo accorda. Qui, invece, Slave N. esercita il vero potere e costringe il Master ad assistere in differita alla scomparsa non consensuale della slave. Tra le regole ferree della slavery è prevista la possibilità di essere ceduti o che il Master scompaia senza spiegazioni. E qui si celano verità troppo devastanti da metabolizzare. L’amore totalizzante alla fine condanna Slave N. a farsi padrona del proprio destino sino alle estreme e fatali conseguenze. Mi rendo conto che è difficile da accettare. Ma è stato davvero così.
Torniamo al tuo Bondage Meditation: è un libro magnifico, a tratti surreale, poetico, con reminiscenze noir. Eppure, sembra che tu abbia voluto veicolare l’immagine più rassicurante e alternativa della meditazione correlata al bondage…
Nessuna contraddizione. Direi che sei una delle pochissime persone che ha notato questa compresenza. Il noir ha molto a che fare con la personalità dark di Selene, e credo che l’eros che impregna la mia arte fotografica sia la risultante di queste due controspinte. Non intendevo rassicurare con banali atmosfere meditative (che peraltro, nella mia decennale esperienza di rigger, porta a splendidi risultati), ma ho scelto la strada di un uso spregiudicato del bianco e nero per far filtrare anche l’aspetto perturbante implicito in qualsiasi esperienza di bondage. Ricordo che, meditation o meno, quella delle corde è una esperienza del limite. Del resto, le atmosfere crepuscolari fungono da naturale cornice del surreale e del fantasmatico. Hai notato che alcuni scatti sembrano evocare gli spiriti della foresta, dei manieri gotici o del mare in tempesta? L’incondizionato abbandonarsi di Selene alle corde, e la sua ascesa ad altri stati dell’essere, immagino possano essere ulteriori elementi perturbanti.
All’inizio confesso di essermi lasciata ingannare dalla prefazione di Ariel Anderssen, dalla sua foto in cui appare davvero deliziosa e rassicurante. Scrive che si vede come tu hai profondo rispetto per Selene. Come hai incontrato Ariel?
Ariel è stata per oltre quindici anni un miraggio. L’ho sempre considerata la vera regina del bondage, e la autentica interprete della pratica, fatta di gioco e rassicurazione, senza atmosfere torbide, violenza o sopraffazione. Se vedi le sue foto e i suoi video, Ariel non è mai volgare, è bellissima senza trucco, si vede che ama il bondage (tra l’altro ho scoperto che è pure una brava rigger), ha portamento elegante, principesco, raffinato. Il suo è un sorriso disarmante. Quando ho preso la decisione di contattarla per chiederle un parere sulle anteprime del libro, si è dimostrata straordinariamente gentile e disponibile. Ha subito accettato di scrivere alcune note, e mi ha spedito diverse sue foto con il permesso di pubblicazione. Per me è stato il coronamento di un antico sogno: avere nel mio primo libro fotografico sul bondage la firma e la splendida foto di Ariel. In questo senso, capisco che con quell’imprinting l’approccio al libro possa risentire di quella rassicurante atmosfera introduttiva. Ma appunto, se osservi bene, appena sfogli le immagini in sequenza inizia a serpeggiare un alone di inquietudine capace di inquietare il lettore.
Selene Weber non è mai ritratta in viso ad eccezione della prima foto che introduce alla sua biografia, e in una delle foto alla fine del libro, ma appare sempre in maschera. Quali sono le ragioni di questa scelta artistica?
Avrai notato che l’assoluto e incondizionato lasciarsi andare di Selene, spesso in pose difficili, sembra contrastare con il suo portamento dominante che traspare dal suo sguardo. Ma è questo uno degli aspetti più interessanti che rende estremamente eccitante e desiderabile il personaggio-Selene. Del resto, ho inteso rispettare l’alone di mistero che circonda la sua persona (non è nei social, e da internet non si ricava alcuna biografia). Ti posso assicurare che è una donna molto intrigante, capace di arrendersi senza condizioni alle corde, e contemporaneamente di esprimere una assoluta dominanza nel sociale. Credo che queste due dimensioni siano compendiate nel suo talento artistico (è fotografa e videomaker, musicista e compositrice, fa incisioni su legno, ha profonde conoscenze informatiche con cui sviluppa la creatività). Il mistero della fisiognomica e della identità di Selene accende il desiderio e permette di concentrarsi sulle sue performance plastiche. Il vuoto implica il pieno, e la trasparenza uccide l’ellissi del pensiero. L’arte non dichiara e nulla ha a che fare con la realtà, ma piuttosto con l’esistenza e con la mitobiografia. Se poi osservi il suo sguardo magnetico e intenso, capisci subito che Selene possiede una smisurata forza mentale, che utilizza proprio quando si sottomette a me e alle corde. Una volta legata, vola in altre dimensioni. E io la posso solo ammirare senza sapere davvero che le accade. E ora voglio stupirti. Prima di incontrarmi, Selene non aveva mai provato il bondage. Una volta che l’ha scoperto come modella occasionale, per lei è stata una illuminazione. Mi ricordo quando l’ho legata ad una canna di bambù con le braccia orizzontali e lei, mollemente distesa nel letto, ha sussurrato: “questo è il mio mondo”. Ci sono talenti destinati…
Torniamo, se ti va, alla presenza di temi scomodi: ho appena finito di leggere le bozze del tuo Bondage Dreams, che ho molto apprezzato sul piano della forma stilistica e delle immagini evocate con maestria, e tra gli altri, mi ha colpito il tema dell’incesto.
Più precisamente, direi che ho esplorato il rapporto incesto/bondage. Si tratta di atmosfere che ho vissuto da spettatore, e mio malgrado, in varie relazioni borderline. Ovviamente, di queste situazioni ho dovuto dare un taglio letterario e non cronachistico, dato che il filo d’oro che unisce le mie narrazioni è la dimensione sottile del sogno che s’insinua nelle pieghe della realtà ordinaria o, meglio, di movimenti interiori che assomigliano alla materia onirica e scattano nelle forme dei silenzi, dei soliloqui e dei deliri. L’incesto è un tabù in letteratura e nella cultura sociale, e ha una lunga storia archetipica e mitologica. Ho scelto di rappresentare quel mondo morboso in cui convivono gli incesti psicologici con quelli materialmente agìti tramite il medium del bondage. Ho esplorato il complesso mondo occulto della rivalsa tra ruoli familiari in conflitto, strategie di potere, alleanze casuali per il dominio del territorio maschile. Mi rendo conto che può apparire tutto forzato e, come si dice, romanzato, ma l’esistenza è assai più incredibile del fantasy …
… perché in fondo hai scoperchiato ciò che la morale comune non vuole vedere.
Si tratta di un effetto inintenzionale. Non mi interessa la letteratura educational, che narra lo scabroso ma se ne libera tramite richiami indignati alla morale. Né mi pare che la letteratura debba risolversi in protesta militante tipica di chi vuole ostentare di stare dalla parte giusta. L’incesto è una piega profonda della realtà, e si può raccontare senza riserve mentali e senza richiamare le solite leggi dell’opportunità. La cosa che a me è parsa più interessante non è cercare chi recita il ruolo di vittima, ma piuttosto indagare e ricostruire le trama sottile della ricerca del potere da parte di tutti gli attori del dramma. Tramite il medium del bondage le protagoniste giocano una partita sottile per il dominio nel territorio, e tanto più chi alla fine vuole essere legata, cioè riconosciuta. Se una persona desidera il contatto, i gesti di affetto, le attenzioni familiari, e non le ottiene, allora il ricorso al bondage come tecnica di acquisizione del potere consente di sublimare le attenzioni affettive con le attenzioni di potere mediate dalla corda. Semmai, ciò che potrebbe sconfortare è che, incesto o no, la stragrande maggioranza delle relazioni si basa su logiche di potere.
Ma con questa affermazione di fatto hai violato un tabù: tutti (o quasi) sanno, ma è meglio negare o, una volta scoperto, indignarsi anziché provare anzitutto a capire.
Voglio essere brutale: negare l’assoluta evidenza dell’incesto come relazione di potere equivale ad aggravarne le potenzialità espansive. Come si può ancora oggi negare che l’incesto psicologico o agìto faccia parte integrante del ménage di molti nuclei familiari? Anzi, a mio avviso il fenomeno è molto più esteso di quanto sembri. Semmai, può apparire bizzarra la correlazione incesto/bondage, e indubbiamente si tratta di una sottocategoria minoritaria rispetto al fenomeno più vasto dell’incesto familiare. Ma qui si tratta di relazioni di potere dissimulate con la forma rassicurante dell’affetto incondizionato. Nell’esperienza narrata ho scoperto che il bondage fa sintesi brutale di una costellazione di comportamenti, aspettative, pulsioni unificate dalla brama di esercitare il potere. La mia ipotesi, tutta ancora da verificare, è che molti rapporti intrafamiliari incestuosi trovino nel bondage la sola chiave per esprimere e praticare l’inesprimibile. E non mi sento di escludere che il destinatario delle corde sia alla fine il vero detentore del potere: costringendo gli altri a farsi legare, di fatto li si lega a sé. Da questo punto di vista, l’incesto mi sembra contenere anche un eccesso di comunicazione e un difetto di chiarezza.
Il fetish ha un ruolo centrale nella tua scrittura. È una scelta stilistica per assecondare il mercato, o ci sono ragioni più profonde?
Non è facile rispondere perché nella pratica della fotografia-bondage i dettagli sono specificazioni della figura intera. Quando lego una modella, la fotografo da varie angolazioni, e anzitutto con la figura intera. Poi mi soffermo su alcuni dettagli (parti del corpo, nodi specifici, architetture localizzate). Nella definizione delle foto scelte per il libro capita che ci siano alcuni scatti esteticamente apprezzabili per alcuni dettagli, e che hanno la funzione del fetish. Ma io non amo decontestualizzare, cioè non mi piacciono le attenzioni esclusive e totalizzanti di tipo feticistico. Semmai, nei racconti di Bondage Dreams il feticismo assume una particolare valenza psicologica, in quanto è manifestazione di potere: da parte femminile, quando è la donna a imporre il feet fetish da una posizione dominante; da parte maschile, invece, quando la donna legata subisce tra virgolette l’atto di adorazione, che di fatto si risolve in una presa di potere da parte del dominante. Molto ha a che fare con la gestione degli umori, da sempre la chiave occulta di accesso ai segreti più intimi di chi li produce. Tramite gli umori si ha una visione profonda dello stato emozionale di chi li produce. Chi si coibenta rispetto al rischio che qualcuno possa avervi accesso (ad esempio sopprimendoli con creme e fragranze), in realtà prende distanza. Nel libro ci sono alcuni accenni a queste relazioni di potere.
Anche il tema dell’umiliazione ha un ruolo centrale nella tua scrittura. Cosa intendi rappresentare?
Cito a memoria dal Diario di una sottomessa: l’umiliazione è costringere qualcuno a fare ciò che segretamente desidera fare. Io parto da qui. È assodato che esista un confine borderline tra consenso e violenza, ma io mi sono occupato dell’umiliazione come arma di potere psicologico. Esiste anche un’altra forma di umiliazione, più sottile e sottovalutata, e ha a che fare con la delusione di chi scopre che colui che si sottomette ha barato sin dall’inizio, e che il suo vero potere è sempre stato dalla parte di chi ha ceduto alle richieste di chi esercita il comando, perché il vero potere è accedere a dimensioni assai più pregnanti, di cui il dominante non ha le chiavi. In generale, io conosco solo il consenso, sia pure dissimulato nei vari rituali di gaming. Nessuna slave è davvero costretta a subire la dominazione, ma utilizza quella forma di umiliazione per raggiungere ciò che davvero desidera sperimentare. Il gioco della costrizione è una fictio senza la quale tutto sarebbe troppo diretto e trasparente. “Consenso” e “costrizione” non si implicano a vicenda, ma gli atti di dominio, all’interno di un game consensuale, permettono di ottenere tramite eccitante dissimulazione ciò che non si può direttamente chiedere. Introdurre il simbolo della costrizione favorisce l’accensione del desiderio. Ma qui, secondo me, si nasconde una pratica esorcistica: è troppo perturbante ammettere che qualcuno sano di mente possa accettare di annullarsi senza condizioni, per poi magari, finita la sessione, vivere nel palcoscenico sociale una vita da dominante. Meglio affidare la responsabilità della dissonanza cognitiva a un elemento esterno: il dominatore, che usa la costrizione come foglia di fico per giustificare e rendere accettabile il mistero dell’assoluto consenso. D’altronde, se così non fosse, a che servirebbe il bondage? Senza consenso si tratta di reato penale. Con il consenso è inutile. Ma la fictio del bondage è una terra simbolica di mezzo per un game in cui tutti fingono che la costrizione sia reale.
Se ci fosse un messaggio per rendere accettabile e desiderabile il bondage, cosa ti sentiresti di suggerire?
Come sai, aborro la letteratura dichiarativa. Non ho messaggi né suggerimenti. Se li avessi voluti dare, avrei scritto un trattato di sessuologia o di altre discipline, e se avessi una Scuola farei una campagna di neuromarketing per decantare il prodotto e farne onesto commercio. So solo che il bondage va salvato da tante immagini distorcenti, la peggiore della quali lo identifica con pratiche di violenza e sopraffazione. Per il resto, faccio letteratura e arte. Tutte le donne che ho incontrato adoravano il bondage, e alcune ne hanno fatto uno stile di vita. Conosco chi usa il bondage come fattore di riequilibrio sostitutivo dello yoga o di altre discipline meditative. C’è poi chi lo utilizza (da slave o da Mistress) come esercizio del potere. Alcune coppie praticano il bondage per sentirsi vive, per rianimare il ménage, o anche per esplorare altre forme di espressione. Non ci sono ricette universali. Però una cosa forse la so: se mi leggi oppure osservi le mie foto, da quel momento il bondage ti appartiene, ti lega a sé, magari risveglia pulsioni sopìte, o semplicemente ti crea turbamento. Se una persona si interessa alla mia arte, e dovesse così scoprire di voler entrare nel mondo magico del bondage, ebbene sì, ammetto che la cosa mi darebbe molta soddisfazione.
Cosa resta delle tue protagoniste?
Secondo la Legge dell’Intempestività non ci si incontra davvero mai. Accadono solo intersezioni, incontri a tempo, fugaci apparizioni destinate alla dissolvenza. Tutto è illusione: quando sei pronto a una relazione la controparte non lo è (e viceversa), e quando si sperimenta il magico allineamento planetario, le due parti che formano l’unità indissolubile, forse mistica, per altri karmica, il fenomeno tende all’entropia –inevitabilmente ci si allontana contro ogni promessa o giuramento, spesso contro l’evidenza, e quasi sempre senza che accadano per forza eventi drammatici o conflitti insolubili. Gli incontri sono brevi respiri destinati a confondersi con il brusìo delle stelle. Il flusso è opportunità relazionale e condanna senza appello: persino se formalmente si sta assieme, ci si ritrova nel divenire radicalmente cambiati – due Alterità illuse di restare unite da una identità fondamentale o da un legame giuridico. Solo la memoria ne custodisce un’immagine trasfigurata sottratta per un po’ al flusso del tempo. Le donne straordinarie che ho incontrato sono volate negli infiniti Altrove di cui siamo circondati. Le penso sempre con amore e gratitudine. Non le ho potute trattenere, e anche loro non avrebbero mai potuto trattenermi. Le ho eternate nella mia scrittura: solo così ho la certezza di stare con loro senza scambiarci il flusso mortale del divenire. Sono vere, autentiche? Sono esistite? In letteratura si tratta di domande oziose e impertinenti. Le mie Muse non abitano più nella realtà ma nell’esistenza. Sono accadute. E ora, assieme ai lettori, possiamo rievocarle e amarle senza bisogno di fare un lutto.
Ora torniamo indietro, alle origini. Quando nasce la tua passione per il bondage?
Le cose nella vita ti rimbalzano addosso, ti cercano e ti invadono. Non te ne puoi liberare. Sono dèmoni destinati. E se il caso non esiste, a me è bastato impattare, all’età di otto anni se ricordo bene, nel fumetto del maestro del genere, John Willie. Gwendoline fu per me una rivelazione mistica. Fu una sorta di salto quantico molto destabilizzante. All’improvviso ebbi l’accesso al mondo folgorante del bondage e delle sue magiche architetture. Il volume era a casa, assieme ad altri di una collana di classici. Quando lo sfogliai mi vennero incontro tutti i temi che avrei sviluppato nella mia vita personale e professionale: la dominazione, il lesbian bondage, la tecnica raffinata delle legature, che il fumetto permette di apprezzare nei minuti dettagli e che io studiai avidamente. Intuii, senza averne precisa cognizione, che quello era il mio mondo. A diciassette anni legai la mia prima fidanzatina con assoluta nonchalance, come se io possedessi una memoria arcana risvegliata. Da quel momento il bondage è stata una scoperta sempre più coinvolgente e densa di risonanze esistenziali, sino a che, tramite viaggi, studi e sperimentazioni, ho raggiunto la mia maturità anche artistica e il mio equilibrio.
Hai sostenuto più volte che non accetti la correlazione necessaria tra bondage e BDSM. È una affermazione che nell’immaginario collettivo sembra una provocazione…
So di affermare qualcosa di poco accettato, ma per me la medesima parola – “bondage” – ha significati differenti a seconda dei contesti: nel BDSM “bondage” è veicolo hard per la sottomissione, la sopraffazione, e spesso è correlato alla violenza anche brutale; nel mio stile Bondage Meditation “bondage” è strumento soft di elevazione, meditazione e ricerca artistica. Io contesto che il bondage sia riconducibile al primo stereotipo, e ammetto tuttavia che questa è la pratica e l’immagine prevalente. Esiste anche il bondage-entertainment, lo spettacolo delle sospensioni, o il tutorial educational. Senza entrare in sottili disquisizioni legate anche a questioni di marketing, direi che le molte facce del bondage dimostrano che la stessa parola è riferibile a una costellazione di pratiche non omologhe. La ieraticità e la mistica che trasudano dai miei scatti a Selene Weber nulla hanno a che fare con la sopraffazione e la violenza, e per nessun motivo possono essere riferiti al BDSM.
E ora una nota estetica. Nelle tue foto (che non nascondono lievi imperfezioni come le smagliature) si ha l’impressione di trovarsi di fronte a un bassorilievo (il corpo plastico di Selene) e a un fondale (la tecnica chiaroscurale generativa di atmosfere crepuscolari e noir): ebbene, mi pare che un ruolo decisivo sia esercitato dalle magnifiche corde dorate che hai usato.
Detesto le foto patinate, artificiali, senz’anima e perciò algide, che generano una distanza tra l’oggetto e il pubblico. Prediligo i corpi reali e segnati dalla vita, còlti in presa diretta nella loro autenticità. E sì, ammetto che nella mia poetica tutto è studiato per far emergere con effetto bassorilievo la magnifica golden rope. È una corda anomala, morbida, non troppo brillante, capace di trattenere la luce, elegante e sinuosa. Non si può usare ovviamente per le sospensioni, ma il suo effetto soft non contraddice l’assoluto potere di immobilizzazione. Il contrasto tra corpo scuro e corda dorata è davvero intrigante. Ma se hai notato, ho usato anche due tipologie di corde rosse per disegnare altre architetture in bassorilievo. Ciò che conta è significare che su una modella sensitiva la corda, da oggetto inerte, prende vita, si fa seconda pelle e crea nuove dimensioni percettive.
Infine, sono stata molto colpita dal fatto che in Bondage Meditation sia scritto che Selene è sia modella che slave…
È una circostanza che ha incuriosito parecchi lettori. Alcuni hanno trovato eccitante la situazione. Ma la cosa davvero stupefacente è che Selene mai aveva provato il bondage, e che dopo lunghe sessioni fotografiche mi abbia chiesto di essere la mia slave. È stata una relazione segnata da una grande complicità e da un’assoluta identità di vedute. Una volta diventata mia slave, le foto hanno subìto un salto quantico: l’intensità di alcuni scatti ha a che fare con la vertigine che solo la slavery può generare. Tra l’altro, Selene mai aveva provato questo ruolo, e la cosa che ancora oggi mi affascina è che lei ha sempre anticipato i miei desideri senza bisogno di ordini. E sì, prima che tu me lo chieda, la rimpiango molto. Ho voluto scioglierla dal vincolo, e ho accettato l’idea che potesse trovare altrove i suoi sogni…
BONDAGE MEDITATION E DINTORNI: VIAGGI NEL PERTURBANTE
Intervista ad Albert Frankson,
di Madame Vi
Ho appena terminato la lettura dell’impaginato di Bondage Dreams, e ti devo confessare che mi ha davvero turbato. Dopo Bondage Meditation non mi attendevo di trovarmi dentro atmosfere davvero insolite se le confrontiamo con ciò che il mercato letterario propone sull’argomento. Come si conciliano le atmosfere crepuscolari del volume fotografico sulla meditazione con il perturbante di Bondage Dreams?
Il bondage è una pratica complessa, ha molte facce, e nasconde anche aspetti perturbanti. Che dietro molte pratiche si nascondano relazioni di potere è un fatto facilmente dimostrabile. Ho esplorato con le chiavi della letteratura argomenti scomodi o addirittura scabrosi, ma non ho mai giudicato e non ho mai parteggiato. In tanti anni di pratica, mi sembra che la morale sociale dominante tolleri facilmente la violenza cruda ed efferata di certo BDSM e le pratiche della tortura presente in tanti video dedicati, ma si scandalizzi quando si affronti il tema dell’incesto. Qui non si tratta, come è ovvio, di giustificare queste pratiche, e neppure di renderle, se così si potesse dire, meno inaccettabili. Si tratta solo di fare letteratura, cioè di affrontare i nodi dell’esistenza (e non della realtà, che appartiene ad altre discipline dichiarative, scienze sociali in primis). La letteratura non deve fare sconti, e deve graffiare con grazia narrativa, senza remore opportunistiche. Lolita di Nabokov è arte letteraria ma non ho mai avuto l’impressione che sia un romanzo apologetico e giustificatorio della pedofilia. Rivela istinti profondi, che hanno fatto scandalo – ma lo scandalo è aver narrato fatti che turbano le coscienze, o che queste cose accadano da sempre senza che nessuno ne parli? Meglio esplorare, e provare a comprendere, la complessità delle pulsioni e il perturbante che si cela in ogni relazione (persino, oserei dire, nelle storie a lieto fine).
“La corda libera”: un ossimoro ai limiti del surreale…
… solo se abbiamo una visione superficiale e stereotipata del bondage. Tutte le donne che ho conosciuto nella pratica del bondage cercano di fare a meno della legge di gravità. Il mistero della corda inerte che tiene compatto l’insieme permette loro di accedere a emozioni, sensazioni, pulsioni che portano alla liberazione dalla costrizione di un corpo che, se non è legato, deve sostenersi da sé con sforzo e dispendio di energia. Del resto, chi intende meditare in tutte le possibili accezioni, deve liberarsi dal fardello del controllo di sé. Con il bondage meditation si può andare in trance, in dimensioni meditative profonde, persino in stati alterati di coscienza. Ho assistito a vere e proprie manifestazioni di orgasmo mentale, senza con ciò dover per forza ‘vendere’ la pratica come porta privilegiata di accesso a chissà quali universi paralleli. Statisticamente parlando, è assai probabile che chi pratichi il bondage meditation acceda a nuove dimensioni altrimenti difficili da sperimentare…
… che al rigger (o al Master) sono precluse.
Esattamente. Si tratta di uno dei paradossi di Bondage Dreams: il vero potere è detenuto dalla slave. È lei – e solo lei – a utilizzare il rigger come strumento per accedere a dimensioni dell’esistenza che nessun altro, all’infuori della slave, può sperimentare ma solo immaginare: la slave ha le chiavi del potere. È ciò che emerge dalla Lettera al Master che, come ricorderai, ha suscitato molto scalpore e inquietudine.
Sì, è stata davvero una lettura inquietante, graffiante, controcorrente. L’ho trovata talmente chirurgica da togliere il fiato.
È un dramma vero, reale, accaduto secondo i canoni della cronaca. Ma è anche materia onirica, vissuta in altre dimensioni spazio-temporali, ed è a tutti gli effetti mitobiografia. Ogni evento si manifesta su più livelli di coscienza, dove ‘realtà’ e ‘finzione’ sono magicamente compresenti. Ovviamente ho dovuto riscrivere alcune parti della Lettera secondo i canoni della narrazione letteraria, la sola che posa rendere conto di ambedue le dimensioni. Slave N. si dissolve dopo la fine del percorso di slavery, e con dei drammatici flashback finalmente rivela al Master chi detiene davvero il potere. Anche scomparire senza lasciare traccia è atto supremo di potere perché affronta direttamente il nodo della morte. È deceduta? O si è limitata a scomparire? Il dubbio permane, ma aleggia sinistramente il simbolo apocalittico dell’ultimo quarto d’ora, che si utilizza per dire ogni verità, quando ormai è inutile fingere: game over. Ora è N. a rievocare il Master a suo piacimento, e a spiegargli cosa sia davvero l’abbandono incondizionato e quali siano le sue implicazioni. Lo ammetto, il finale fa male, brucia, sconcerta. È sconfortante, tocca corde profonde, incide come un coltello che pretende di cauterizzare una ferita insanabile. Quando ho ricevuto questa missiva ti confesso che sono sprofondato in un abisso indicibile. Nessuno mai mi aveva spalancato le porte di una voragine così incommensurabile.
Leggendo tra le righe si ha come l’impressione che “Slave N.” sia morta (come nell’inquietante ending del romanzo Histoire d’O), e che il finale, con la lettera chissà come recapitata senza mittente, e la risposta affidata al vento e al mare, rappresenti un atto psicomagico.
“N.” sta per “Nessuno”, vale a dire indica colei che ha rinunciato al proprio nome di battesimo per entrare nella slavery, ne assume un altro di alta valenza simbolica, ma poi perde il diritto di utilizzarlo una volta che la slavery si concluda. Chi non ha nome perde l’identità. E sì, ammetto, è un racconto di riti e sortilegi, e direi anche di esorcismi. Nelle mie public lectures (una delle quali nel tuo famoso Salotto di Madame Vi) ho misurato il disagio del pubblico, perché è stato evocato un perturbante archetipico. Oltretutto, è difficile identificarsi con l’assoluto incondizionato, e accettare la tragica lucidità di Slave N. Ancora oggi per molti è fastidioso ammettere che il vero potere (compreso quello di suicidarsi) siano nelle mani di chi al contrario dovrebbe solo obbedire. Perciò, mi permetto di farti notare che il riferimento a Histoire d’O (il libro, non l’orrendo film con l’happy end femminista e politically correct) ha poco a che fare con questa situazione. In quel classico, “O” chiede il permesso a Sir Stephen di suicidarsi, e il Master glie lo accorda. Qui, invece, Slave N. esercita il vero potere e costringe il Master ad assistere in differita alla scomparsa non consensuale della slave. Tra le regole ferree della slavery è prevista la possibilità di essere ceduti o che il Master scompaia senza spiegazioni. E qui si celano verità troppo devastanti da metabolizzare. L’amore totalizzante alla fine condanna Slave N. a farsi padrona del proprio destino sino alle estreme e fatali conseguenze. Mi rendo conto che è difficile da accettare. Ma è stato davvero così.
Torniamo al tuo Bondage Meditation: è un libro magnifico, a tratti surreale, poetico, con reminiscenze noir. Eppure, sembra che tu abbia voluto veicolare l’immagine più rassicurante e alternativa della meditazione correlata al bondage…
Nessuna contraddizione. Direi che sei una delle pochissime persone che ha notato questa compresenza. Il noir ha molto a che fare con la personalità dark di Selene, e credo che l’eros che impregna la mia arte fotografica sia la risultante di queste due controspinte. Non intendevo rassicurare con banali atmosfere meditative (che peraltro, nella mia decennale esperienza di rigger, porta a splendidi risultati), ma ho scelto la strada di un uso spregiudicato del bianco e nero per far filtrare anche l’aspetto perturbante implicito in qualsiasi esperienza di bondage. Ricordo che, meditation o meno, quella delle corde è una esperienza del limite. Del resto, le atmosfere crepuscolari fungono da naturale cornice del surreale e del fantasmatico. Hai notato che alcuni scatti sembrano evocare gli spiriti della foresta, dei manieri gotici o del mare in tempesta? L’incondizionato abbandonarsi di Selene alle corde, e la sua ascesa ad altri stati dell’essere, immagino possano essere ulteriori elementi perturbanti.
All’inizio confesso di essermi lasciata ingannare dalla prefazione di Ariel Anderssen, dalla sua foto in cui appare davvero deliziosa e rassicurante. Scrive che si vede come tu hai profondo rispetto per Selene. Come hai incontrato Ariel?
Ariel è stata per oltre quindici anni un miraggio. L’ho sempre considerata la vera regina del bondage, e la autentica interprete della pratica, fatta di gioco e rassicurazione, senza atmosfere torbide, violenza o sopraffazione. Se vedi le sue foto e i suoi video, Ariel non è mai volgare, è bellissima senza trucco, si vede che ama il bondage (tra l’altro ho scoperto che è pure una brava rigger), ha portamento elegante, principesco, raffinato. Il suo è un sorriso disarmante. Quando ho preso la decisione di contattarla per chiederle un parere sulle anteprime del libro, si è dimostrata straordinariamente gentile e disponibile. Ha subito accettato di scrivere alcune note, e mi ha spedito diverse sue foto con il permesso di pubblicazione. Per me è stato il coronamento di un antico sogno: avere nel mio primo libro fotografico sul bondage la firma e la splendida foto di Ariel. In questo senso, capisco che con quell’imprinting l’approccio al libro possa risentire di quella rassicurante atmosfera introduttiva. Ma appunto, se osservi bene, appena sfogli le immagini in sequenza inizia a serpeggiare un alone di inquietudine capace di inquietare il lettore.
Selene Weber non è mai ritratta in viso ad eccezione della prima foto che introduce alla sua biografia, e in una delle foto alla fine del libro, ma appare sempre in maschera. Quali sono le ragioni di questa scelta artistica?
Avrai notato che l’assoluto e incondizionato lasciarsi andare di Selene, spesso in pose difficili, sembra contrastare con il suo portamento dominante che traspare dal suo sguardo. Ma è questo uno degli aspetti più interessanti che rende estremamente eccitante e desiderabile il personaggio-Selene. Del resto, ho inteso rispettare l’alone di mistero che circonda la sua persona (non è nei social, e da internet non si ricava alcuna biografia). Ti posso assicurare che è una donna molto intrigante, capace di arrendersi senza condizioni alle corde, e contemporaneamente di esprimere una assoluta dominanza nel sociale. Credo che queste due dimensioni siano compendiate nel suo talento artistico (è fotografa e videomaker, musicista e compositrice, fa incisioni su legno, ha profonde conoscenze informatiche con cui sviluppa la creatività). Il mistero della fisiognomica e della identità di Selene accende il desiderio e permette di concentrarsi sulle sue performance plastiche. Il vuoto implica il pieno, e la trasparenza uccide l’ellissi del pensiero. L’arte non dichiara e nulla ha a che fare con la realtà, ma piuttosto con l’esistenza e con la mitobiografia. Se poi osservi il suo sguardo magnetico e intenso, capisci subito che Selene possiede una smisurata forza mentale, che utilizza proprio quando si sottomette a me e alle corde. Una volta legata, vola in altre dimensioni. E io la posso solo ammirare senza sapere davvero che le accade. E ora voglio stupirti. Prima di incontrarmi, Selene non aveva mai provato il bondage. Una volta che l’ha scoperto come modella occasionale, per lei è stata una illuminazione. Mi ricordo quando l’ho legata ad una canna di bambù con le braccia orizzontali e lei, mollemente distesa nel letto, ha sussurrato: “questo è il mio mondo”. Ci sono talenti destinati…
Torniamo, se ti va, alla presenza di temi scomodi: ho appena finito di leggere le bozze del tuo Bondage Dreams, che ho molto apprezzato sul piano della forma stilistica e delle immagini evocate con maestria, e tra gli altri, mi ha colpito il tema dell’incesto.
Più precisamente, direi che ho esplorato il rapporto incesto/bondage. Si tratta di atmosfere che ho vissuto da spettatore, e mio malgrado, in varie relazioni borderline. Ovviamente, di queste situazioni ho dovuto dare un taglio letterario e non cronachistico, dato che il filo d’oro che unisce le mie narrazioni è la dimensione sottile del sogno che s’insinua nelle pieghe della realtà ordinaria o, meglio, di movimenti interiori che assomigliano alla materia onirica e scattano nelle forme dei silenzi, dei soliloqui e dei deliri. L’incesto è un tabù in letteratura e nella cultura sociale, e ha una lunga storia archetipica e mitologica. Ho scelto di rappresentare quel mondo morboso in cui convivono gli incesti psicologici con quelli materialmente agìti tramite il medium del bondage. Ho esplorato il complesso mondo occulto della rivalsa tra ruoli familiari in conflitto, strategie di potere, alleanze casuali per il dominio del territorio maschile. Mi rendo conto che può apparire tutto forzato e, come si dice, romanzato, ma l’esistenza è assai più incredibile del fantasy …
… perché in fondo hai scoperchiato ciò che la morale comune non vuole vedere.
Si tratta di un effetto inintenzionale. Non mi interessa la letteratura educational, che narra lo scabroso ma se ne libera tramite richiami indignati alla morale. Né mi pare che la letteratura debba risolversi in protesta militante tipica di chi vuole ostentare di stare dalla parte giusta. L’incesto è una piega profonda della realtà, e si può raccontare senza riserve mentali e senza richiamare le solite leggi dell’opportunità. La cosa che a me è parsa più interessante non è cercare chi recita il ruolo di vittima, ma piuttosto indagare e ricostruire le trama sottile della ricerca del potere da parte di tutti gli attori del dramma. Tramite il medium del bondage le protagoniste giocano una partita sottile per il dominio nel territorio, e tanto più chi alla fine vuole essere legata, cioè riconosciuta. Se una persona desidera il contatto, i gesti di affetto, le attenzioni familiari, e non le ottiene, allora il ricorso al bondage come tecnica di acquisizione del potere consente di sublimare le attenzioni affettive con le attenzioni di potere mediate dalla corda. Semmai, ciò che potrebbe sconfortare è che, incesto o no, la stragrande maggioranza delle relazioni si basa su logiche di potere.
Ma con questa affermazione di fatto hai violato un tabù: tutti (o quasi) sanno, ma è meglio negare o, una volta scoperto, indignarsi anziché provare anzitutto a capire.
Voglio essere brutale: negare l’assoluta evidenza dell’incesto come relazione di potere equivale ad aggravarne le potenzialità espansive. Come si può ancora oggi negare che l’incesto psicologico o agìto faccia parte integrante del ménage di molti nuclei familiari? Anzi, a mio avviso il fenomeno è molto più esteso di quanto sembri. Semmai, può apparire bizzarra la correlazione incesto/bondage, e indubbiamente si tratta di una sottocategoria minoritaria rispetto al fenomeno più vasto dell’incesto familiare. Ma qui si tratta di relazioni di potere dissimulate con la forma rassicurante dell’affetto incondizionato. Nell’esperienza narrata ho scoperto che il bondage fa sintesi brutale di una costellazione di comportamenti, aspettative, pulsioni unificate dalla brama di esercitare il potere. La mia ipotesi, tutta ancora da verificare, è che molti rapporti intrafamiliari incestuosi trovino nel bondage la sola chiave per esprimere e praticare l’inesprimibile. E non mi sento di escludere che il destinatario delle corde sia alla fine il vero detentore del potere: costringendo gli altri a farsi legare, di fatto li si lega a sé. Da questo punto di vista, l’incesto mi sembra contenere anche un eccesso di comunicazione e un difetto di chiarezza.
Il fetish ha un ruolo centrale nella tua scrittura. È una scelta stilistica per assecondare il mercato, o ci sono ragioni più profonde?
Non è facile rispondere perché nella pratica della fotografia-bondage i dettagli sono specificazioni della figura intera. Quando lego una modella, la fotografo da varie angolazioni, e anzitutto con la figura intera. Poi mi soffermo su alcuni dettagli (parti del corpo, nodi specifici, architetture localizzate). Nella definizione delle foto scelte per il libro capita che ci siano alcuni scatti esteticamente apprezzabili per alcuni dettagli, e che hanno la funzione del fetish. Ma io non amo decontestualizzare, cioè non mi piacciono le attenzioni esclusive e totalizzanti di tipo feticistico. Semmai, nei racconti di Bondage Dreams il feticismo assume una particolare valenza psicologica, in quanto è manifestazione di potere: da parte femminile, quando è la donna a imporre il feet fetish da una posizione dominante; da parte maschile, invece, quando la donna legata subisce tra virgolette l’atto di adorazione, che di fatto si risolve in una presa di potere da parte del dominante. Molto ha a che fare con la gestione degli umori, da sempre la chiave occulta di accesso ai segreti più intimi di chi li produce. Tramite gli umori si ha una visione profonda dello stato emozionale di chi li produce. Chi si coibenta rispetto al rischio che qualcuno possa avervi accesso (ad esempio sopprimendoli con creme e fragranze), in realtà prende distanza. Nel libro ci sono alcuni accenni a queste relazioni di potere.
Anche il tema dell’umiliazione ha un ruolo centrale nella tua scrittura. Cosa intendi rappresentare?
Cito a memoria dal Diario di una sottomessa: l’umiliazione è costringere qualcuno a fare ciò che segretamente desidera fare. Io parto da qui. È assodato che esista un confine borderline tra consenso e violenza, ma io mi sono occupato dell’umiliazione come arma di potere psicologico. Esiste anche un’altra forma di umiliazione, più sottile e sottovalutata, e ha a che fare con la delusione di chi scopre che colui che si sottomette ha barato sin dall’inizio, e che il suo vero potere è sempre stato dalla parte di chi ha ceduto alle richieste di chi esercita il comando, perché il vero potere è accedere a dimensioni assai più pregnanti, di cui il dominante non ha le chiavi. In generale, io conosco solo il consenso, sia pure dissimulato nei vari rituali di gaming. Nessuna slave è davvero costretta a subire la dominazione, ma utilizza quella forma di umiliazione per raggiungere ciò che davvero desidera sperimentare. Il gioco della costrizione è una fictio senza la quale tutto sarebbe troppo diretto e trasparente. “Consenso” e “costrizione” non si implicano a vicenda, ma gli atti di dominio, all’interno di un game consensuale, permettono di ottenere tramite eccitante dissimulazione ciò che non si può direttamente chiedere. Introdurre il simbolo della costrizione favorisce l’accensione del desiderio. Ma qui, secondo me, si nasconde una pratica esorcistica: è troppo perturbante ammettere che qualcuno sano di mente possa accettare di annullarsi senza condizioni, per poi magari, finita la sessione, vivere nel palcoscenico sociale una vita da dominante. Meglio affidare la responsabilità della dissonanza cognitiva a un elemento esterno: il dominatore, che usa la costrizione come foglia di fico per giustificare e rendere accettabile il mistero dell’assoluto consenso. D’altronde, se così non fosse, a che servirebbe il bondage? Senza consenso si tratta di reato penale. Con il consenso è inutile. Ma la fictio del bondage è una terra simbolica di mezzo per un game in cui tutti fingono che la costrizione sia reale.
Se ci fosse un messaggio per rendere accettabile e desiderabile il bondage, cosa ti sentiresti di suggerire?
Come sai, aborro la letteratura dichiarativa. Non ho messaggi né suggerimenti. Se li avessi voluti dare, avrei scritto un trattato di sessuologia o di altre discipline, e se avessi una Scuola farei una campagna di neuromarketing per decantare il prodotto e farne onesto commercio. So solo che il bondage va salvato da tante immagini distorcenti, la peggiore della quali lo identifica con pratiche di violenza e sopraffazione. Per il resto, faccio letteratura e arte. Tutte le donne che ho incontrato adoravano il bondage, e alcune ne hanno fatto uno stile di vita. Conosco chi usa il bondage come fattore di riequilibrio sostitutivo dello yoga o di altre discipline meditative. C’è poi chi lo utilizza (da slave o da Mistress) come esercizio del potere. Alcune coppie praticano il bondage per sentirsi vive, per rianimare il ménage, o anche per esplorare altre forme di espressione. Non ci sono ricette universali. Però una cosa forse la so: se mi leggi oppure osservi le mie foto, da quel momento il bondage ti appartiene, ti lega a sé, magari risveglia pulsioni sopìte, o semplicemente ti crea turbamento. Se una persona si interessa alla mia arte, e dovesse così scoprire di voler entrare nel mondo magico del bondage, ebbene sì, ammetto che la cosa mi darebbe molta soddisfazione.
Cosa resta delle tue protagoniste?
Secondo la Legge dell’Intempestività non ci si incontra davvero mai. Accadono solo intersezioni, incontri a tempo, fugaci apparizioni destinate alla dissolvenza. Tutto è illusione: quando sei pronto a una relazione la controparte non lo è (e viceversa), e quando si sperimenta il magico allineamento planetario, le due parti che formano l’unità indissolubile, forse mistica, per altri karmica, il fenomeno tende all’entropia –inevitabilmente ci si allontana contro ogni promessa o giuramento, spesso contro l’evidenza, e quasi sempre senza che accadano per forza eventi drammatici o conflitti insolubili. Gli incontri sono brevi respiri destinati a confondersi con il brusìo delle stelle. Il flusso è opportunità relazionale e condanna senza appello: persino se formalmente si sta assieme, ci si ritrova nel divenire radicalmente cambiati – due Alterità illuse di restare unite da una identità fondamentale o da un legame giuridico. Solo la memoria ne custodisce un’immagine trasfigurata sottratta per un po’ al flusso del tempo. Le donne straordinarie che ho incontrato sono volate negli infiniti Altrove di cui siamo circondati. Le penso sempre con amore e gratitudine. Non le ho potute trattenere, e anche loro non avrebbero mai potuto trattenermi. Le ho eternate nella mia scrittura: solo così ho la certezza di stare con loro senza scambiarci il flusso mortale del divenire. Sono vere, autentiche? Sono esistite? In letteratura si tratta di domande oziose e impertinenti. Le mie Muse non abitano più nella realtà ma nell’esistenza. Sono accadute. E ora, assieme ai lettori, possiamo rievocarle e amarle senza bisogno di fare un lutto.
Ora torniamo indietro, alle origini. Quando nasce la tua passione per il bondage?
Le cose nella vita ti rimbalzano addosso, ti cercano e ti invadono. Non te ne puoi liberare. Sono dèmoni destinati. E se il caso non esiste, a me è bastato impattare, all’età di otto anni se ricordo bene, nel fumetto del maestro del genere, John Willie. Gwendoline fu per me una rivelazione mistica. Fu una sorta di salto quantico molto destabilizzante. All’improvviso ebbi l’accesso al mondo folgorante del bondage e delle sue magiche architetture. Il volume era a casa, assieme ad altri di una collana di classici. Quando lo sfogliai mi vennero incontro tutti i temi che avrei sviluppato nella mia vita personale e professionale: la dominazione, il lesbian bondage, la tecnica raffinata delle legature, che il fumetto permette di apprezzare nei minuti dettagli e che io studiai avidamente. Intuii, senza averne precisa cognizione, che quello era il mio mondo. A diciassette anni legai la mia prima fidanzatina con assoluta nonchalance, come se io possedessi una memoria arcana risvegliata. Da quel momento il bondage è stata una scoperta sempre più coinvolgente e densa di risonanze esistenziali, sino a che, tramite viaggi, studi e sperimentazioni, ho raggiunto la mia maturità anche artistica e il mio equilibrio.
Hai sostenuto più volte che non accetti la correlazione necessaria tra bondage e BDSM. È una affermazione che nell’immaginario collettivo sembra una provocazione…
So di affermare qualcosa di poco accettato, ma per me la medesima parola – “bondage” – ha significati differenti a seconda dei contesti: nel BDSM “bondage” è veicolo hard per la sottomissione, la sopraffazione, e spesso è correlato alla violenza anche brutale; nel mio stile Bondage Meditation “bondage” è strumento soft di elevazione, meditazione e ricerca artistica. Io contesto che il bondage sia riconducibile al primo stereotipo, e ammetto tuttavia che questa è la pratica e l’immagine prevalente. Esiste anche il bondage-entertainment, lo spettacolo delle sospensioni, o il tutorial educational. Senza entrare in sottili disquisizioni legate anche a questioni di marketing, direi che le molte facce del bondage dimostrano che la stessa parola è riferibile a una costellazione di pratiche non omologhe. La ieraticità e la mistica che trasudano dai miei scatti a Selene Weber nulla hanno a che fare con la sopraffazione e la violenza, e per nessun motivo possono essere riferiti al BDSM.
E ora una nota estetica. Nelle tue foto (che non nascondono lievi imperfezioni come le smagliature) si ha l’impressione di trovarsi di fronte a un bassorilievo (il corpo plastico di Selene) e a un fondale (la tecnica chiaroscurale generativa di atmosfere crepuscolari e noir): ebbene, mi pare che un ruolo decisivo sia esercitato dalle magnifiche corde dorate che hai usato.
Detesto le foto patinate, artificiali, senz’anima e perciò algide, che generano una distanza tra l’oggetto e il pubblico. Prediligo i corpi reali e segnati dalla vita, còlti in presa diretta nella loro autenticità. E sì, ammetto che nella mia poetica tutto è studiato per far emergere con effetto bassorilievo la magnifica golden rope. È una corda anomala, morbida, non troppo brillante, capace di trattenere la luce, elegante e sinuosa. Non si può usare ovviamente per le sospensioni, ma il suo effetto soft non contraddice l’assoluto potere di immobilizzazione. Il contrasto tra corpo scuro e corda dorata è davvero intrigante. Ma se hai notato, ho usato anche due tipologie di corde rosse per disegnare altre architetture in bassorilievo. Ciò che conta è significare che su una modella sensitiva la corda, da oggetto inerte, prende vita, si fa seconda pelle e crea nuove dimensioni percettive.
Infine, sono stata molto colpita dal fatto che in Bondage Meditation sia scritto che Selene è sia modella che slave…
È una circostanza che ha incuriosito parecchi lettori. Alcuni hanno trovato eccitante la situazione. Ma la cosa davvero stupefacente è che Selene mai aveva provato il bondage, e che dopo lunghe sessioni fotografiche mi abbia chiesto di essere la mia slave. È stata una relazione segnata da una grande complicità e da un’assoluta identità di vedute. Una volta diventata mia slave, le foto hanno subìto un salto quantico: l’intensità di alcuni scatti ha a che fare con la vertigine che solo la slavery può generare. Tra l’altro, Selene mai aveva provato questo ruolo, e la cosa che ancora oggi mi affascina è che lei ha sempre anticipato i miei desideri senza bisogno di ordini. E sì, prima che tu me lo chieda, la rimpiango molto. Ho voluto scioglierla dal vincolo, e ho accettato l’idea che potesse trovare altrove i suoi sogni…